U Muffulettu di Licata … C’è un profumo particolare che si leva dai forni di Licata nel pomeriggio del Venerdì Santo. Non è l’aroma del pane di tutti i giorni, ma qualcosa di più antico, più denso di significato: è il profumo dei Muffuletti. In questa cittadina affacciata sul mare agrigentino, mentre il silenzio e il raccoglimento avvolgono la commemorazione della Passione di Cristo, questo pane speciale diventa protagonista di un rito che unisce fede, storia e comunità.
Dimenticate le altre muffulette siciliane, quelle soffici e magari legate a San Martino o ai Defunti. “U Muffulettu” licatese del Venerdì Santo è tutt’altra cosa. La sua storia, si dice, risalga addirittura al 1500, intrecciata a quella della Confraternita di San Girolamo della Misericordia.
Erano i confratelli, stanchi morti dopo le lunghe ore della processione, a cercare ristoro in questo pane robusto e fragrante. Un modo per rifocillarsi, certo, ma anche per segnare la fine del digiuno e celebrare, pur nella solennità del giorno, la forza della comunità. Un’usanza nata tra pochi, ma diventata presto “pani ri tutti”, un’eredità preziosa per l’intera Licata. Ancora oggi, non appena la statua del Cristo viene deposta sul “Calvario” nella piazza principale, i forni si accendono e l’attesa dei muffuletti caldi diventa quasi palpabile.
Muffulettu di Licata qual è il segreto? È un connubio di sapienza antica e sapori decisi. Si parte da una miscela di farine, spesso grano tenero e la dorata semola rimacinata di grano duro siciliano, che gli dona carattere. Ma è il cuore speziato a renderlo unico: un’abbondanza quasi sfacciata ri pipì niuru, la nota dolce e selvatica ri finocchiu sarbaggiu o ri ànasu, e l’abbraccio caldo della cannella. Un mix che inebria e riscalda l’anima.
L’impasto, reso morbido dall’acqua e da un grasso – tradizionalmente ‘u saimi, ma oggi anche l’olio d’oliva – viene lavorato con forza e lasciato lievitare a lungo, cu’ pacenzia, spesso tra le coperte come si faceva una volta. Prima della cottura, una pioggia generosa di giuggiulena, che in forno creerà una crosta croccante e dorata, a proteggere una mollica sorprendentemente soffice, quasi spugnosa, da qui l’appellativo di “muffu”, appunto, molle.
U Muffulettu di Licata
E come si gusta questo pane nel giorno più austero dell’anno? Rigorosamente “ri magru! Niente carne, ovviamente. La tradizione licatese lo vuole farcito ca’ tunnina, sarde salate, olive nere o scaglie di formaggio locale, come il primo sale o, meglio ancora ‘u cascavaddu. Un pasto semplice ma pieno di gusto, ca cunsula dopo il digiuno e la preghiera. Un contrasto netto con l’usanza, forse legata ad altre feste o ai tempi moderni, di riempirlo con salsiccia arrostita. Il passaggio dalla carne al pesce è il segno tangibile di come la fede plasmi la tavola, trasformando u muffulettu in un simbolo di rispetto per la sacralità del Venerdì Santo.
Al di là del suo ruolo pratico, questo pane porta con sé echi simbolici. Le spezie, un tempo lusso raro, diventano un’offerta preziosa nel giorno del lutto, un omaggio alla Passione. Il loro profumo intenso lo distingue, lo eleva dal quotidiano, quasi a voler marcare con l’olfatto la solennità del momento. E poi c’è il gesto della condivisione: il pane spezzato tra confratelli, in famiglia, un rito che rinsalda i legami e ricorda che, anche nel dolore, la comunità è unita.
U Muffulettu di Licata non è, quindi, un semplice pane. È memoria viva, un sapore antico che resiste al tempo, un pezzo di identità culturale e religiosa che si rinnova ogni Venerdì Santo. Assaggiarlo caldo, farcito di tonno e tradizione, è un modo per entrare nel cuore più autentico della Pasqua siciliana, un’esperienza che nutre il corpo e l’anima. U pani ca cunta storii.