Festa di Li Schietti: A Terrasini la Pasqua è Forza, Rito e Radici Profonde

Roberta D'Asta
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Quando la Pasqua infiamma la Sicilia di processioni e profumi, a Terrasini, incantevole borgo marinaro affacciato sul blu cobalto del Golfo di Castellammare, si accende un rito unico, potente, che sa di terra antica e vigore giovanile: la Festa di Li Schietti. Non una semplice sagra, ma un evento che pulsa nel cuore della comunità, riconosciuto come patrimonio immateriale dell’isola, un richiamo irresistibile per locali, visitatori e per quei figli partiti lontano, che mai dimenticano ‘a storia nostra.

Le sue origini si perdono in un tempo sospeso tra la metà dell’Ottocento, quando i documenti iniziano a parlarne, e forse echi ancora più remoti, legati alla nascita stessa di Terrasini come comunità agricola alla fine del Settecento. Una festa che non è nata già fatta, ma è cresciuta, evoluta, intrecciando la forza degli schietti – i giovani celibi del paese – con il respiro ancestrale della primavera.

Protagonista assoluto è l’albero: non uno qualunque, ma un melangolo, “l’aranciu airu”. Simbolo potente di fecondità, della vita che rinasce indomita, un richiamo forse agli antichi riti pagani per Adone, dio della morte e della rinascita, fusi nel sincretismo tutto siciliano con la celebrazione cristiana della Resurrezione.

Ma la festa, perché negarlo, era soprattutto un palcoscenico d’amore, una prova di virilità. L’alzata dell’albero, un fusto di circa 50 chili da sollevare e tenere in equilibrio con una sola mano, non era gioco. Era una dichiarazione, un atto di coraggio sotto il balcone della zita, la fidanzata. Riuscirci significava quasi una promessa di matrimonio, dimostrare di avere la forza per sostenere una famiglia. Fallire, si mormorava un tempo, poteva costare un rifiuto.

Il rituale si accende il Sabato Santo. All’alba, il Comitato degli Schietti va in campagna per il taglio cerimoniale del melangolo, scelto con cura per robustezza e forma. Poi,” ‘a manciata”: un banchetto generoso offerto a tutti, un tripudio di sapori locali – castrato, sarde, salsiccia alla brace, formaggi, olive, vino – che celebra l’anima contadina e marinara di Terrasini e rinsalda la comunità.

Nel pomeriggio, l’albero, ormai pronto, sfila per il paese su un carretto siciliano addobbato a festa, trainato da un cavallo fiero. È il momento dell’addobbo solenne: nastri variopinti, ciancianeddi, fazzoletti rossi e, un tempo, anche gli aineddi, piccoli agnelli modellati nel formaggio tenero, oggi forse un ricordo sbiadito. La sfilata è un’esplosione di folklore: a banda, gruppi in costume, tammurinari, un’onda festante che accompagna l’albero verso la piazza.

L’albero degli schietti benedetto a Pasqua

La Domenica di Pasqua è il culmine. Dopo la messa mattutina, l’albero riceve la benedizione sul sagrato del Duomo. Poi inizia il suo viaggio per le vie, sollevato da chiunque voglia provare la propria forza, ma soprattutto dagli schietti sotto i balconi delle innamorate.

Un gesto che “vale cchiù ri ‘na palora”. Nel pomeriggio, la tradizione si fa competizione: in Piazza Duomo, la gara ufficiale di resistenza. Non più solo scapoli, ma uomini di ogni età, persino i bambini (“Pulcini”, che avranno la loro festa dedicata la domenica successiva), si sfidano a chi tiene l’albero alzato più a lungo. Un’evoluzione che apre la festa a tutta la comunità, anche se forse smorza l’antica tensione del corteggiamento. La serata esplode poi tra spettacoli, concerti di richiamo e gli immancabili botti, i fuochi d’artificio che dipingono il cielo sul Lungomare Peppino Impastato.

A dare colore e identità alla festa contribuiscono i costumi tradizionali. Gli schietti e i membri del Comitato indossano pantaloni neri di velluto alla zuava, gilet coordinato su camicia bianca candida, e il tocco fiammante ri birritta e del fazzoletto rossi. Un’eleganza d’altri tempi, che una fonte curiosamente collega ai costumi dell’agrigentino, un dettaglio che aggiunge fascino e un pizzico di mistero.

Ma la Festa di Li Schietti ha radici così profonde da superare gli oceani. Dal 1977, la comunità terrasinese emigrata a Detroit, negli USA, la celebra in contemporanea, facendo arrivare un vero albero d’arancio dalla California o dalla Florida, pur di non spezzare il filo della memoria. E dal 2012, anche a Wetzikon, in Svizzera, alcuni emigrati, spinti dalla nostalgia, hanno ricreato questo rito potente. Non sono semplici copie, ma atti d’amore, modi per sentirsi ancora a casa, per tramandare un’identità che la distanza non può cancellare. Un legame forte, testimoniato anche dai tanti emigrati che tornano a Terrasini per la festa “madre” e dal loro sostegno all’organizzazione.

La Festa di Li Schietti, dunque, è un organismo vivo. Unisce passato pagano e presente cristiano, forza individuale e spirito comunitario, l’identità fiera di un borgo siciliano e i suoi legami sparsi nel mondo. È la celebrazione esuberante di una comunità che, nel gesto potente dell’alzata dell’albero, ritrova ogni Pasqua la sua storia, le sue radici e la sua irrefrenabile gioia di vivere.

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